Nel mondo della comunicazione, quante espressioni suonano più stanche di “pensare fuori dalla scatola”? Credo poche. “Disruptive” è forse l’unica che in questo momento può insidiarne il primato.

 

Eppure, è un concetto che, preso dal lato giusto, può avere ancora un senso e il lato, ovviamente, non è quello che siamo abituati a guardare di solito.

Getto subito la maschera: tutto nasce dalla nostra (relativamente breve) esperienza nelle relazioni agenzia-cliente, soprattutto quando si vanno a costruire le dinamiche iniziali, in cui si stabilisce, quasi a livello di linguaggio del corpo, che tipo di rapporto si vuole mantenere nelle fasi di sviluppo dei progetti; accondiscendenza o consulenza, mera esecuzione o capacità di imporre una visione, sono atteggiamenti che devono essere chiariti, ribaditi e mantenuti nel corso del rapporto.

 

Quando la spunta va su consulenza e visione, le dinamiche in gioco diventano più articolate e complesse; è un valzer a due nel quale la capacità di dare credibilità e fiducia professionale alle singole parti è l’elemento chiave della buona riuscita dei progetti.

Questa situazione è molto evidente soprattutto durante i processi di analisi preliminare, quelli necessari a capire lo stato dell’arte e valutare gli interventi.

 

 

Ma che ne sai tu della mia azienda?

 

L’errore che viene fatto più spesso, per esempio, è quello di non considerare l’azienda per quello che effettivamente è: una grossa bolla, all’interno della quale è difficile valutare il percepito ed il reale posizionamento; si dice molto spesso, ed in modo del tutto decontestualizzato, che per capire le situazioni bisogna viverle dall’interno. Beh, non è una logica applicabile alla comunicazione dove lo sguardo esterno, come una sorta di punto di osservazione privilegiato, permette di confrontare la realtà con il contesto.

 

All’interno di un’ipotetica ricetta, nemmeno troppo teorica, questo andrebbe amalgamato a dati reali e oggettivi (per dare consistenza e credibilità all’analisi), al percepito dei diretti interessati e ai loro obiettivi.

Allora si che, in questo caso, possiamo dare il giusto valore anche a tutte quelle considerazioni di “pancia” che arrivano dall’interno della scatola.

 

La situazione che ci capita spesso di vedere, soprattutto nelle aziende italiane, è il disallineamento tra la loro strategia commerciale e il loro posizionamento; il motivo è esattamente questa incapacità di contestualizzarsi, oltre alla quasi totale mancanza di dati da cui partire.

 

 

Quindi?

 

Ricapitolando, la (nostra) formula è: analisi azienda + analisi contesto + supporto di dati +percezione e desiderata del cliente = quadro completo e basi solide per un progetto.

Questo è il motivo per il quale è necessario, una volta deciso di intraprendere un percorso di riposizionamento, re-branding o di modifica della propria strategia aziendale, coinvolgere fin da subito un’agenzia o un consulente che abbia sia la capacità di entrare in profondità quanto quella di avere una vista e visione sul mondo di riferimento di quella precisa realtà.

 

Sono interventi troppo importanti ed invasivi da non potersi permettere fondamenta deboli. That’s it.