In una corsa, di quelle che durano molto e coprono distanze lunghe, ad esempio una maratona, bisogna dare prova di grande resistenza, e prima ancora di una grande capacità di utilizzo e gestione delle proprie risorse psicofisiche.

 

Si può rischiare, altrimenti, di dar loro fondo troppo presto e ritrovarsi “spompati” già a metà, o anche prima, del percorso: questo è quello che sembra essere accaduto al settore dell’e-commerce tra il periodo il clou della pandemia (2020-2021) e oggi nella corsa per conquistarsi la fetta di mercato più ampia.

 

 

Partiamo dai dati

 

Secondo infatti McKinsey & Company, nel 2020 la percentuale sul totale, a livello mondiale, di vendite online è salita dal 14 al 17% e ancora nel primo trimestre del 2021, secondo lo Shopping Index di Salesforce, l’e-commerce mondiale ha registrato una crescita del 58% su base annua (l’Italia addirittura del 78%);

 

ma già i primi due quarter del 2022 hanno visto un ribasso del -2 e del -6% dei tassi di crescita annuali e in particolare in Italia, secondo l’Osservatorio eCommerce B2c della School of Management del Politecnico di Milano, le vendite online hanno registrato un incremento inferiore (+3 miliardi) rispetto al 2020 (+8 miliardi) e al 2021 (+5 miliardi).

 

Nelle principali realtà del settore sono perciò cominciati i primi tagli.

 

Klarna, società fintech svedese di servizi di pagamento, dopo aver registrato circa un miliardo di perdita tra il 2020 e il 2021, ha tagliato il 10% del personale (7000 dipendenti);

 

la tedesca Gorillas e la turca Getir, entrambe leader del Q-Commerce, hanno rispettivamente lasciato l’Italia licenziando 540 persone e tagliato l’organico del 14%; Shopify, a luglio 2022, ha annunciato di volerne tagliare il 10%;

 

infine,Yahoo! ha annunciato di voler tagliare entro la fine del 2023 circa il 20% del personale (a marzo in Italia sono già stati licenziati 19 dei 21 impiegati), Amazon di voler rivedere l’intera filiera europea tagliando circa 20.000 vendor.

 

 

 

Perché questa situazione?

 

La prima risposta sorge spontanea: con la fine dei lockdown, i negozi fisici hanno riaperto recuperando, in parte, il tempo perso, e molti hanno aperto a loro volta un proprio, piccolo o grande, e-commerce. Nell’ordine, poi, di solito, vengono:

 

·       la guerra in Ucraina e l’instabilità politico-finanziaria internazionale che ne sta derivando;

 

·       l’introduzione nel 2021 dell’ATT (App Tracking Transparency), il quale stabilendo che per il tracciamento dei dati dell’utente a fini pubblicitari è obbligatorio il suo consenso, rende complicato alle aziende customizzare i propri annunci e le proprie offerte;

 

·       la disabilitazione, da parte per es. di Apple, dei cookie di terze parti;

 

·       i paletti che il Garante della Privacy in Europa sta mettendo da tempo a Google Analytics;

 

·       per ultima (ma dovrebbe essere tra le prime) la sopravvalutazione del momento, per cui c’è stata un’evidente sproporzione tra le risorse investite dalle varie Big e i risultati ottenuti che ora le pone con le armi spuntate di fronte alle sfide future. Ricollegandoci all’inizio, ha speso eccessivamente in partenza e ora appare troppo in debito di ossigeno per riprendere la corsa ai ritmi di prima e guadagnarne la testa.

 

 

 

Cosa fare, dunque?

 

Niente panico: l’e-commerce ha il fiato lungo e può ritornare a dettare i tempi della corsa a molti dei contendenti, se non a tutti. Come già detto, siamo di fronte ad una semplice flessione, per cui è vero che le cose nel 2022 per l’e-commerce sono andate un po' peggio che nel 2021 e nel 2020, ma comunque sempre meglio che nel 2019, e ad ogni modo si prospetta già un miglioramento nel breve termine.

 

Nel 2023, infatti, alcuni dei trend più gettonati, come Il mobile commerce, ad esempio, che permette di effettuare ordini ovunque e a qualunque ora, o il social commerce, in cui gli influencer, le chatbot o le AI fanno delle live per presentare e illustrare i nuovi prodotti nelle modalità dell’entertaining e della conversazione, potrebbero rivelarsi non solo una salutare boccata d’ossigeno, ma anche uno straordinario propulsore in quanto capaci di conquistare la fascia di potenziali acquirenti più critica e sfuggente alle strategie tradizionali, la Z-Generation.

 

Non solo: faciliterebbero la raccolta multicanale e l’analisi integrata di dati di prima parte, che si ricavano per es. da acquisti e feedback a campagne marketing da parte degli utenti, e di quelli zero-party, che vengono forniti spontaneamente registrandosi, compilando form, rispondendo a sondaggi ecc.

 

Se il vento dovesse davvero cominciare a soffiare in questa direzione, le aziende sarebbero allora obbligate a concentrarsi su un tipo di marketing molto più autentico, forse più dispendioso in termini di tempo e risorse, ma di certo più “umano”, più attento alla privacy e al rispetto del pubblico, ma anche a stabilire con lui “relazioni” emotive vere, per “conoscerlo” e quindi anticiparlo intercettandone i reali bisogni.

 

Il tutto risulterebbe ancora più facile con un buon CRM, CDP all’altezza e una conoscenza approfondita delle pratiche di Inbound Marketing, ma questi sono argomenti che tratteremo nei prossimi articoli. Non mancate!